Nella quotidianità i contratti di comodato e quelli di locazione di un bene immobile o mobile possono apparire simili per caratteristiche, ma non lo sono sul piano formale e della previsione di diritti e doveri delle parti. In questa guida vi spieghiamo le differenze tra le due tipologie contrattuali.
Iniziamo con il contratto di comodato d’uso. Esso consiste nella concessione del godimento di un bene da parte di un soggetto, chiamato comodante, a un altro soggetto, chiamato comodatario. L’oggetto del contratto può essere un bene immobile, mobile o mobile registrato, con l’unica condizione richiesta dalle norme che esso non sia consumabile, altrimenti non sarebbe possibile per il comodatario restituirlo alla scadenza pattuita nelle stesse condizioni alle quali gli era stato consegnato. Il contratto può essere a tempo determinato, caso in cui prevede la pattuizione di una scadenza, al raggiungimento della quale il bene va riconsegnato al proprietario, oppure a tempo indeterminato, per cui il bene va riconsegnato all’atto della richiesta da parte del comodante. La caratteristica principale di questo tipo di contratto è che esso prevede che il bene sia concesso in godimento a titolo gratuito, ovvero che non sia previsto un corrispettivo in favore del comodante. Per questo, il contratto di comodato è anche definito a uso gratuito.
Proprio qui veniamo alla sostanziale differenza con il contratto di locazione, che prevede la concessione di un bene mobile o immobile in godimento da parte del proprietario e in favore di un locatario, ma dietro il pagamento di un corrispettivo, solitamente periodico. Il tipico contratto di locazione è quello di un immobile, il proprietario consente a un soggetto, inquilino, di abitare presso la propria casa, ma ogni mese richiede il pagamento di un canone, come da accordo. In assenza dell’adempimento di questo dovere in capo al locatario, il proprietario ha titolo per richiedere che l’abitazione venga lasciata libera, nonostante le procedure in Italia siano abbastanza complesse sul punto, essendo in gioco le tutele del soggetto debole, ovvero l’inquilino e i suoi familiari.
In altre parole, indipendentemente dal fatto che un immobile venga goduto da un soggetto dietro la stipulazione di un contratto di comodato o di locazione, nella sostanza non cambia molto, se non per il fatto che nel primo caso non può essere previsto un corrispettivo, il quale è, invece, alla base del secondo tipo di contratto.
Un’altra differenza notevole è nella forma. Il contratto di comodato può essere stipulato verbalmente o per scritto, e in questo secondo caso può essere registrato o meno. In soli due casi è previsto l’obbligo di registrazione, ovvero quando il contratto viene richiamato in un altro atto pubblico oppure quando il proprietario è intenzionato ad avvalersi degli sgravi fiscali previsti dalle norme per il pagamento dell’IMU e della TASI. La registrazione deve avvenire entro 20 giorni dalla data della stipula e richiede il versamento di 200 euro per l’imposta di registro e l’apposizione di una marca da bollo da 16 euro per ogni 100 righe o 4 facciate di contratto. Visto che le copie da redigere sono tre, una per parte e una da depositare presso l’ufficio territorialmente competente dell’Agenzia delle Entrate, questo costo va triplicato.
Attenzione, però, perché non è detto che l’assenza di un corrispettivo implichi l’impossibilità per i contratti di comodato d’uso che il proprietario richieda al comodatario il sostenimento di alcuni oneri. Essi possono consistere in una compartecipazione alle spese o nel mantenimento del bene a determinate condizioni. In altre parole, il comodante può concedere gratuitamente il bene in comodato d’uso a un comodatario, ma dietro l’obbligo di versare una somma a titolo di rimborso spese o di gestione del bene. Che non si tratti di locazione lo dimostra il fatto che non stiamo discutendo di un corrispettivo, ma della semplice richiesta del proprietario, per esempio, della compartecipazione alle spese legate al sostenimento dell’IMU o della TASI. La somma pattuita, ha stabilito la Cassazione, non può essere inquadrata come corrispettivo di un contratto di locazione quando risulta sproporzionatamente bassa in base alle valutazioni di mercato. Se, per ipotesi, il proprietario di un immobile residenziale di 100 metri quadrati, posizionato al centro di Milano, chiedesse al comodatario il versamento di una somma mensile di 50 euro, è evidente che non siamo davanti a una locazione mascherata, ma alla volontà del proprietario di coprirsi almeno delle spese minime legate alla titolarità del bene.
Altra rilevante differenza, il contratto di locazione va sempre stipulato per scritto e registrato presso l’Agenzia delle Entrate. Questo inadempimento fa scattare sanzioni in capo al proprietario e, in caso di denuncia presentata dall’inquilino, questi godrà della possibilità di godere per l’intero periodo residuo pattuito di un canone di locazione calmierato, in linea con quello fissato dalle norme, pari a un multiplo della rendita catastale. Si tratta di un chiaro incentivo al rispetto delle regole per evitare gli affitti in nero, altrimenti il proprietario rischia sanzioni salate e l’impossibilità di incidere per un congruo periodo sulla fissazione del canone.